news, comunicazione, grafica ... pausa caffè

nr.62
06 Agosto 2020

3 minuti di tempo

Messenger da ospite

Facebook, già da qualche tempo, aveva reso disponibile un plugin che permetteva ai proprietari di siti web di implementare la chat di messenger per rendere più facile il contatto da parte delle persone, lo potete vedere anche sul nostro sito Skriba. Però per utilizzare la chat bisognava possedere un account sul social, questo era un limite, per quanto Facebook nel nostro paese sia uno dei social più diffusi.

In questi giorni l’azienda ha annunciato un aggiornamento che permetterà alle attività, che hanno installato il plugin sul proprio sito, di instaurare delle conversazioni attraverso la chat anche con potenziali clienti che non hanno fatto l’accesso su Facebook.

Nei test effettuati dall’azienda, la nuova chat avrebbe incrementato del 45% le richieste di informazioni su prodotti e servizi. L’aggiornamento introduce anche un nuovo design che renderebbe le conversazioni ancora più semplici e intuitive. Il tuo sito aziendale possiede già la chat di Messenger?

Avete sentito parlare del caso dei semi recapitati a ignare persone? Si tratta di una truffa di alcuni venditori online! Però non il classico furto di carte di credito o l’invio di un prodotto al posto di un altro più costoso. La truffa è stata messa in atto per costruire una falsa reputazione per venditori online su piattaforme come Amazon. Le società hanno rubato identità per aprire account e fare ordini; l’invio del pacco attesta alla piattaforma la veridicità dell’ordine, ma ovviamente non del contenuto, così l’azienda può lasciarsi delle recensioni da account ritenuti veri per acquisti verificati, alterando la classifica dei venditori.

Il posto giusto è Google

Secondo l’opinione di Google s’intende… Nel precedente PostSkript vi abbiamo presentato i dati di un’analisi che indagava come variasse la percentuale di clic degli utenti sul motore di ricerca. Oggi aggiungiamo un altro tassello con una seconda analisi basata su 15.000 parole chiave. Il risultato è stato che in media il 41% della prima pagina di risultati da dispositivi mobili è dedicata alle “risposte dirette”, cioè con informazioni che Google riprende da altre sorgenti, talvolta senza il loro consenso esplicito, rendendole immediatamente disponibili. Inoltre per una ricerca su cinque, tra quelle analizzate, i collegamenti a siti web esterni a Google non sono affatto presenti nella prima schermata.

La decisione di Google di collocare i propri prodotti al di sopra di tutti gli altri e di presentare “risposte” sulla pagina di ricerca, ha già comportato all’azienda azioni legali e multe. Sempre secondo la ricerca, un certo numero di siti web ha affermato che Google ha drasticamente ridotto i loro ricavi.