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nr.103
21 Aprile 2022

4 minuti di tempo

C’è spazzatura nelle mappe di Google

L’inserimento eccessivo di parole chiave inizia ad avere conseguenze negative

L’ordine con cui Google ci propone i risultati di ricerca locali, quelli legati alle mappe, è determinato da un algoritmo soggetto a frequenti aggiornamenti, proprio come gli altri risultati di ricerca. L’obiettivo è sempre cercare di migliorare la risposta fornita agli utenti e per questo l’ultimo aggiornamento ha tentato di ridurre la visibilità di chi, non rispettando le linee guida dello strumento, ha inserito parole chiave in modo eccessivo nel nome del profilo dell’attività, facendo cioè spam.

Una recente ricerca di brightlocal ha analizzato centinaia di schede locali con sedi negli Stati Uniti per valutare se ci fossero state variazioni nel modo in cui l’algoritmo gestiva le schede. Ha riscontrato che le attività che hanno fatto spam hanno perso in media 5,5 posizioni, al contrario le attività che nel proprio nome non hanno parole chiave ne hanno guadagnate 4,1.

La nota dolente è che a pagare il prezzo più alto sembrano essere state le attività che nel proprio nome contengono, in modo del tutto naturale, alcune parole chiave come “Autofficina Rossi”, “Bianchi elettricista”, queste attività infatti hanno perso in media 7,9 posizioni. Combinando la presenza delle parole chiave nel nome con il dato sulla sua lunghezza, la ricerca ha trovato che i nomi con spam e di lunghezza compresa tra 21 e 30 caratteri hanno mostrato il maggior aumento salendo in media di 16 posizioni nelle classifiche di ricerca.

I nomi con spam di oltre 30 caratteri sono stati invece più colpiti perdendo in media 25,2 posizioni. Sembra quindi che Google fatichi ancora a distinguere tra nomi con parole chiave e nomi con spam e che utilizzi la lunghezza del nome come filtro per distinguere tra spam e nomi che rispettano le linee guida.

Arriverà la pubblicità su Netflix? È una delle ipotesi che si stanno affacciando dopo l’ufficializzazione della perdita di oltre 200.000 abbonati nell’ultimo trimestre. Esclusa l’uscita dal mercato Russo, il calo è determinato da una maggiore concorrenza rispetto ai picchi di crescita del periodo Covid. L’azienda, per recuperare terreno, già da tempo ha annunciato una stretta sulla possibilità di condivisione delle password tra persone che non abitano sotto lo stesso tetto. Per quegli utenti che vogliono spendere meno si ipotizza, in sostituzione, un abbonamento più economico con pubblicità. Staremo a vedere se arriverà effettivamente la pubblicità e se questa sarà un canale solo per aziende con importanti budget da investire o se ci sarà spazio per tutti.

I tanti carrelli abbandonati online

Secondo uno studio del Baymard Institute ApS aggiornato al 2022, il tasso medio di abbandono del carrello nell’e-commerce è pari al 69,82%. Quali sono le cause di così tanti mancati acquisti?

Sempre secondo la ricerca, la prima causa, indicata dal 48% degli intervistati, è la scoperta di costi extra giudicati troppo alti, ad esempio le spese di spedizione o commissioni non dichiarate in anticipo. Il secondo motivo per cui si interrompe l’acquisto, indicato dal 24% di intervistati, è la necessità di creare un account sul sito web.

Conquista la medaglia di bronzo di questa classifica la consegna giudicata troppo lenta. Certo alcuni colossi della vendita online hanno abituato gli utenti ad avere sempre o quasi la consegna gratuita e velocissima, alzando enormemente le aspettative/pretese, ma questo non significa che non si possa migliorare l’esperienza dell’utente.

Ad esempio bisogna rendere noti e chiari i prezzi fin da subito e se possibile adottare politiche di prezzo che possano andare a coprire l’offerta delle spese di spedizione gratuite.

Altri aspetti decisivi per completare la vendita sono la costruzione di una buona reputazione online, offrire metodi di pagamento vari ed adeguati, tenere sotto controllo eventuali malfunzionamenti del sito e del checkout in particolare, curare le informazioni relative ai resi.